Saturday 15 September 2018

Lettera aperta a Danilo Gallinari

Caro Danilo,

Non ho la presunzione di pensare che leggerai queste parole, ma certo ci spero, la rete a volte connette persone che non si conoscono nei modi più inaspettati e consegna messaggi a destinatari lontani.

Ti ho incrociato più volte sul parquet del PalaRavizza a Pavia, quando avevi 17 anni. La maschile faceva allenamento prima della femminile, ci si salutava nel tunnel senza conoscersi, certo, il tuo nome lo abbiamo imparato presto, noi appassionati di basket, il tuo talento era ed è lampante.

Quello che ricordo è un ragazzino quasi smilzo e lungo lungo, tecnicamente con poche sbavature e atleticamente già padrone di un corpo esplosivo, ma che ancora doveva raggiungere la stazza e la potenza che poi ha rivelato. Ricordo inoltre il sorriso semplice, l'espressione felice sul volto di un ragazzo che fa quello che ama, che si diverte.

A2, 17 anni, già facevi vedere che eri in grado di guidare una squadra, ciò che mi colpì fu l'assenza di presunzione, trasudavi entusiasmo. Tornasti a Milano e ti guadagnasti lo spazio che meritavi con l'Olimpia, poi l'NBA e sappiamo tutti che nonostante gli infortuni sei un giocatore che ha dimostrato di reggere il livello, guadagnandoti il rispetto dei tuoi colleghi.

Premesso che senza conoscere una persona, non si possono giudicare le sue scelte, devo comunque confessare che da sostenitrice del 'Gallo', sono rimasta delusa da alcuni tuoi atteggiamenti e ho perso entusiasmo. Ero quella che andava in giro a dire 'Il Gallo è il più forte giocatore italiano di sempre', ora faccio fatica a ripeterlo. Resto convinta che tu abbia un talento immenso, intelligenza cestistica, qualità tecnica e tattica e, ovviamente, potenza atletica, superiore a qualsiasi altro giocatore italiano, ma mentre prima ti vedevo anche come un modello di comportamento per i ragazzini, ora non ci riesco più. E mi dispiace. Mi manca un po' quel ragazzo modesto che lasciava parlare i fatti, il campo. Non voglio ragionare troppo sui perché e percome di questo apparente cambiamento (d'immagine?), ripeto, non conosco te e soprattutto non conosco i retroscena dei vari episodi. Ma ciò che accadde con la nazionale, dall'episodio antisportivo (totalmente inaspettato), agli infortuni, al battibecco con il coach della Nazionale, di sicuro, tutto ciò è un peccato. Per carità, a volte la carriera ti mette davanti a bivi e ti tocca scegliere, abbiamo visto Beli e il Mago fare lo stesso prima di te. Mi auguro solo il tempo della polemica sia davvero passato, che si torni solo a parlare di basket e delle tue belle iniziative per formare ragazzi giovani e riqualificare spazi nella tua Milano e altrove.

In bocca al lupo per la nuova stagione NBA e da appassionata di basket spero di vederti presto al meglio delle condizioni... anche in maglia azzurra.

Ginestra

Monday 9 January 2017

Non è passato neanche un anno

335 giorni fa scrivevo un posto salutando mio zio.
Oggi mi ritrovo a scriverne uno per salutare mia zia.
Vi ho rivisti entrambi nel 2013 per l'ultima volta. Non sapevamo sarebbe andata così.
Nessuno sa mai che andrà così.

Non saprei da dove cominciare a raccontare della persona sorridente, sempre pronta a scherzare, ma anche a rispondere senza filtro, a scaldarsi, nel bene e nel male. Una fonte di energia che tutti immaginavamo inesauribile.

E invece il futuro riservava sfide difficili. E ingiuste.

Mi mancheranno la gioia, la complicità, la capacità di vedere tutto dal lato migliore.
L'ultima volta ti ho vista stanca, eri l'ombra di te stessa, e ti dava fastidio.

Cara zia Paola, quanto ti ho voluto bene.

Che destino stronzo.

E che male che fa.

Sunday 21 February 2016

Così, d'improvviso. Ciao zio.

Stamattina, mentre mi svegliavo e recuperavo dalla mia prima anestesia totale, mio zio Vittorio si sedeva in macchina e si addormentava per non svegliarsi più.

Mio zio Vittorio. Una delle persone più intraprendenti, solari, dolci che abbia mai conosciuto. Il fratello maggiore di mio papà, la persona che aveva attraversato l'Italia da sud a nord in vespa, per potersi prendere cura della famiglia dopo che suo papà, mio nonno, era venuto a mancare e lui era ancora giovane, come giovani erano le sue sorelle e i suoi fratelli.

Una persona che ti mostrava orgogliosa il suo orto, che sapeva fare tutto, che rideva e si arrabbiava allo stesso modo, con passione.

Lo zio che si ricordava che da piccolino mio fratello Andrea voleva fare il pastore e io l'inventrice. Che ha sempre voluto bene a me e ai miei fratelli, a mia mamma e a mio papà.

Siamo una famiglia lontana, sparsa su un raggio di km ampio, ma l'affetto non è mai mancato.

Zio mi dispiace non essere lì, ma sei con me, sempre. La tua risata grassa mi resta nel cuore. Tu con i tuoi limoni e mandarini cinesi l'ultima volta che ci siamo visti.

È tutto così improvviso e sconvolgente... ciao zio, mi mancherai tanto, tienici d'occhio da lassù... come hai tenuto d'occhio tutti noi nipoti sempre.

Wednesday 25 March 2015

Ciccia

I don't know what would I give to here him call me ciccia once again...

Friday 10 October 2014

L'elogio alla pallavolo da una cestista.

C’è da dire che se c’è una maglia azzurra io seguo, fatta eccezione per il carling… o forse no, ho guardato anche quello.

Mi trovo a guardare questa emozionante Nazionale femminile (la N maiuscola non è un caso) e a trovarmi sorridente e coinvolta, ammissione non facile per una baskettara convinta che le uniche volte che ha giocato a pallavolo è stato durante le ore di educazione fisica alle superiori (ovviamente il muro era la mia unica specialità), per l’unico motivo che le ragazze non giocavano a basket… Oppure in spiaggia, perché sulla sabbia la palla non rimbalza.

Prima fra tutte Lo Bianco, per due motivi: quello serio, ciò che ha passato, quello stupido, è un ’79, ottima annata, chiaramente. ;)
Quasi una nonna, sportivamente parlando, che si comporta da cameriera perfetta, servendo pizze a destra e a manca con la lucidità di un servizio di porcellana appena pulito.

Poi in ordine sparso:

Bonitta, che indipendentemente da come andranno le final 4, vince a mani basse il Master Chef della pallavolo. Cambia ingredienti, ehm, giocatrici, e le centillina dosando ogni minima risorsa. Praticamente la panchina per lui è il ripiano delle spezie. Le ragazze giocano tutte e tutte bene.

Chirichella, che mette giù qualsiasi cosa ed è talmente giovane che in america non le fanno nemmeno ordinare una birra al banco, ma ci pensa Diouf, che ne ha appena fatti 21 e offre da bere a tutte.

Arrighetti, un’altra delle ‘vecchie’, che tanto vecchia non è, ma ha esperienza da vendere, grinta da vendere e chiaramente un passato da ballerina classica (ci manca solo che scattarri e sputi per terra).

Del Core, usando le parole del commentatore americano dell’unico streaming decente che ho trovato: “De’ Core (vi risparmio come pronunciava Chirichella), only 1.80m, you don’t need to be a giant!”, ma lei è un gigante, con 180 centimetri di cuore, d’altro canto con un nome così, non ci si può aspettare niente di meno, il cuore di Napoli.

De Gennaro: liberi tutti, liberi tutti… Cardullo l’ho rimpianta tanto quando sono andata a  vedere gli ottavi alle Olimpiadi 2012 e sono felicissima sia tornata, ma sta De Gennaro dov’era? Perché ci siamo portati una Croce? (Non me ne voglia Croce, ma mi ha fatto soffrire tanto).

Caterina Bosetti, che non so quale delle due sorelle sia, ma tanto il cognome è una garanzia. I genitori probabilmente stanno vendendo il DNA.

Piccinini, perché sia che entri in momenti importanti che le tocchi stare in campo con le giovincelle della seconda linea per far riposare il sestetto iniziale, ha sempre un sorriso e un incoraggiamento pronto. E poi quando serve, la mette giù anche lei.

Centoni, perché sembra sempre che le servano un paio di minuti per capire che la partita è iniziata, ma poi non ce n’è più per nessuno.

Costagrande che secondo me dovrebbe essere sponsor ufficiale di qualche catena di fai da te, per i muri che fa.

Ferretti, che non avevo mai sentito nominare, ma che fa il possibile perché non si noti che Lo Bianco è in panchina, compito tutt’altro che facile.

E Folie che sembra ferma fino alla fine, poi la palla non la vedi più ed è per terra dall’altra parte.

Che bello vedere gli allenatori in tuta, e non in giacca e cravatta, anche se si vede l’ascella pezzata.
Che bello vedere tutte ste facce sorridenti, certo, quando si vince è più facile, ma sembrano sorrisi sinceri, di chi si sta divertendo parecchio e sta facendo divertire il pubblico.

E poi il pubblico del Forum, che ve lo dico a fare… In quel palazzetto ci ho visto l’Olimpia vincere lo scudetto contro Bologna nel ’96.

Ho solo una ed una sola critica, a quello che metteva gli stacchetti musicali: i One Direction nooo!

Thursday 2 October 2014

La mia prima lezione di yoga

Yoga. Ci stavo pensando da diverso tempo, visto che volevo trovare un'alternativa alla piscina per rilassarmi. Capita un buono sconto che ti dà diritto a ben 10, dico 10 lezioni di yoga alla modica cifra di 20 sterline, che fai, non lo compri?! È un segno del destino.

Compro il voucher, lo stampo. Vado al lavoro in bici come sempre, curandomi bene di non sporcare la tuta per la sessione serale di yoga. Pioggerellina bastarda del mercoledì mattina.
Per la gioia dei miei colleghi stendo su una sedia tuta e maglietta ad asciugare. Ho almeno l'accortezza di nascondere il tutto in un angolo evitandone l'esposizione del secolo in ufficio.

La giornata al lavoro non è delle migliori, non vedo l'ora di andare a provare yoga per rilassarmi.

Pedalo verso la palestra, lego la bici ed entro. Il dettaglio di come lego la bici non è trascurabile: la lascio semi appesa alla ringhiera, con il D-lock che oltre ad assicurare il legame a prova di ladro tra bicicletta e ringhiera, la sostiene anche contro la forza di gravità... Insomma, se togli il D-lock la bici cade.

Come previsto l'atmosfera in palestra è accogliente, la gente sorride, non corre, non si muove a scatti, nessuno ha fretta.

La lezione procede bene, è molto rilassante anche se meno dinamica di quanto mi aspettassi. D'altro canto è la prima lezione!

Esco dalla palestra estremamente serena, rilassata, con la pace dei sensi.

Slego la bici e, ricordandomi della legge di gravità, sostengo la bici, ma dimentico che anche il D-lock è soggetto a questa fondamentale legge della natura terrestre.

Avete presente quelle scene in cui sapete che state facendo una cosa stupida, ma è troppo tardi per fermarsi e siete costretti ad essere testimoni delle conseguenze della vostra stupidità?
Ecco, io guardo inerme il D-lock cadere miseramente dall'altra parte della ringhiera mentre con una mano sostengo la bici e nell'altra ho le chiavi e mezzo lucchetto.

Momento di panico.

Non solo tra me e l'altra metà del D-lock (che per la cronaca vale quasi quanto la mia bici!) c'è una ringhiera di ferro alta due metri, ma attaccata alla ringhiera, col ruolo importante di ornamento, c'è una siepe fitta di rovi. R O V I .

Non curante delle spine infilo il mio braccio destro tra le sbarre della ringhiera e i rovi. È tanto tempo che non ho un gattino che impara a farsi le unghie su di me, ma l'effetto è identico. L'affetto un po' meno.

Nonostante le mie discretamente lunghe leve, la mia fredda metà di D-lock resta irraggiungibile. L'idea di dovermene andare senza di lei non esiste. Quindi dopo l'impulsiva azione di infilare la mano tra i rovi, scatta la scelta razionale: valuto l'altezza della ringhiera per vedere se posso scavalcare. Poi finalmente la vera parte razionale del cervello ha il sopravvento e cerco un citofono.

Fortuna vuole che il cancello d'ingresso al cortile limitato da questa cortina invalicabile di ferro e rovi, è aperto.

Entro di corsa, felice come se andassi a recuperare un cofanetto di foto di infanzia perso dieci anni prima, e di nuovo l'istinto offusca la razionalità: mi lancio di testa nella siepe di rovi, scansando con braccia e gambe tutti i rami che si pongono tra me il D-lock.

Finalmente riunisco la fredda metà con il resto del lucchetto e posso pedalare felice verso casa, scoprendo solo dopo la doccia i danni che le maledette spine hanno inflitto alle mie braccia.
Ma in fondo ho avuto gatti per tanti anni, e alla tenera età di tre anni sono caduta in un fosso pieno di rovi mentre andavo in bicicletta, dev'essere quindi una mia personale tradizione per mantenere il contatto con la natura.

Morale della favola: sono bastati pochi minuti di distrazione per disfarsi completamente dello stato di rilassamento totale conquistato in un'ora di yoga.

Mercoledì ci torno, ma lego la bici da un'altra parte!

Monday 2 December 2013

I miei 7 NON AMO

  1. Non amo il trucco. Nè sulla mia faccia, nè su quella degli altri.
  2. Non amo le pose. Nè farle, nè guardarle.
  3. Non amo i vestiti aderenti. Nè su di me, nè sugli altri.
  4. Non amo i paroloni inseriti a caso nelle frasi. Ma ogni tanto li uso.
  5. Non amo la TV, come non amo la birra troppo frizzante e limpida. Sono entrambe filtrate troppe volte, eliminano il gusto e annullano la mia voglia di selezionare con la mia testa e le mie papille gustative.
  6. Non amo chi è appariscente per puro esibizionismo. Toglie spazio a chi ha davvero qualcosa da dire.
  7. Non amo i travestiti da stupidi. Che stupidi sono e se ne vantano.

Detto ciò: i vestiti aderenti stanno bene a chi si sente di indossarli perché si piace così, indipendentemente dalla forma fisica, non perché deve per forza piacere agli altri. Loro sì, non mi danno fastidio.

Mi dà molto più fastidio chi critica una 'cicciona con i rotoli e la minigonna'.

L'apparenza può ingannare perché è la prima cosa che notiamo.
L'apparenza colpisce, ma non è tutto.

Credo che certe osservazioni riguardanti l'apparenza dicano molto di più della persona che queste osservazioni si sente in diritto di farle, piuttosto che della persona oggetto di tali parole.